Dall’accidentalità del fatto alla trasparenza del nostro pensare. Nella Consulenza Filosofica i sintomi sono ciò che è effettivamente presente all’Io.

di Francesca Guercio – articolo apparso la prima volta sul sito www.benessereitalia360.it l’8.10.2019

La parola “sintomo” deriva dal greco sýmptoma (σύμπτωμα). Alla lettera: un avvenimento accidentale; ovvero qualcosa che, semplicemente, accade.

Chi voglia situarne il significato così da riuscire a prendersene cura dovrà dunque indagarne le condizioni e le forme, le particolarità, i luoghi e i tempi dell’insorgenza. Dovrà usarne l’apparenza per attraversarne i significati.

Durante un incontro di consulenza filosofica, l’attenzione posta sulle vicende quotidiane che di volta in volta divengono oggetto di dialogo è spesso occasione di analisi dei “sintomi”. Gli accidenti inequivocabilmente correlati alle tante possibili manifestazioni che la realtà assume per ciascuno di noi, in considerazione del nostro modo di leggerla e abitarla.

La disamina, naturalmente, riguarda in maniera privilegiata il fruitore della consulenza, che racconta gli eventi in grado di esercitare un potere sulla propria condizione esistenziale. E tuttavia, nel medesimo tempo, chiama in causa i sintomi del consulente stesso, nonché quelli degli altri eventuali attori coinvolti nei fatti narrati.

Il conflitto delle polarità

Il comune intento di esplorazione e analisi tra il filosofo pratico e il suo cliente diviene efficacemente operativo in virtù della speciale forma di relazione dialogica attuata in consulenza. Che prevede la necessità di argomentare l’esposizione del vissuto. Imparando poco alla volta a non dare per scontati usi linguistici, testimonianze di connessioni logiche, manifestazioni emotive, prese di posizione, apparenti ovvietà. Non solo nel contatto con gli altri e nell’esperienza degli accadimenti ma sempre anche nel colloquio con sé.

Sono sotto gli occhi di tutti le modalità con cui il mondo contemporaneo insiste ormai a ogni livello sull’esacerbare il conflitto tra polarità. Perfino il trattamento di ciò che riguarda l’uomo nel suo tessuto di psiche e soma vede contrapposte due tifoserie. Da un lato i fautori dell’approccio olistico, dall’altro i fieri sostenitori di quello specialistico. Formulare pronostici sui futuri risvolti di questa architettura dell’antinomia è impossibile. E ancora una volta contempla un contrasto: quello tra ottimisti e pessimisti.

Povertà e incultura: un binomio per il disagio

Alcuni fenomeni sociali particolarmente minacciosi hanno ricadute sconquassanti nelle dinamiche private. Tra i casi che più spesso quanti svolgono professioni d’aiuto si trovano ad affrontare ci sono quelli conseguenti alle devianze nell’organizzazione del lavoro. Capaci di generare forme di povertà economica e di frustrazione. Alle quali gli individui rispondono variamente e secondo propensioni personali che contemplano depressione, autosvalutazione, ansia, aggressività…

Il rapido decadimento in atto nella formazione scolastica e la generale involuzione culturale https://www.open.online/2019/10/07/diplomati-analfabeti-in-tutta-italia-a-sud-sono-uno-su-tre/ fanno il resto. Gettando sulle strutture sociali attuali ombre oscure dagli effetti futuri imprecisati. Di una sola cosa possiamo avere certezza ed è con essa che siamo tenuti a fare i conti. Le pratiche comunitarie attualmente in uso sono inadeguate al conseguimento del benessere. Il disagio endemico, l’infelicità crescente, la recrudescenza di antiche patologie e l’insorgenza di nuove stanno a testimoniarlo.

La iattura delle skill

La resistenza ostile all’ascolto e al dialogo, la comunicazione basata sugli slogan e l’esplosione violenta dei conflitti attestano un’impossibilità di esprimersi. Risultato e causa di una diffusa incapacità di farlo.

Per quanto specificamente concerne la ricerca d’una salvazione individuale i rimedi sembrano peggiori del male.

Si moltiplica l’offerta di risposte semplici. Che parlano di (pesco espressioni che si rincorrono più o meno identiche nel web!) ‘individuare la propria mission nella vita’ o ‘acquisire una identità positiva’.

Insinuando così più la certezza che il dubbio che ci si possa trovare in sofferenza per una deficienza personale; una ‘identità negativa’, per dire. Con tanti saluti al senso di colpa che può derivarne. Perché alla fine la vita è tutta questione di problem solving.

Se non hai le skill, qualcuno pronto a insegnarti come acquisirle c’è; e se proprio non ti ci trovi, piangiti il male di cui sei causa. Eri stato avvertito!

La civiltà delle cose e della fretta

Il “qualcosa che accidentalmente accade” viene còlto stricto sensunella sua proprietà evenemenziale e registrato come dato morboso al quale porre rimedio. Per di più con un farmaco da banco. Che si spera faccia effetto in tempi rapidi.

Quella contemporanea, del resto, è la civiltà delle cose e della fretta. «Si vive accumulando e consumando attività da svolgere. E quando proprio non se ne trovano più, si preferisce andare in depressione piuttosto che pensare». Me lo ha detto giorni fa un amico che per mestiere frequenta gente… “in carriera”; perdonatemi il lessico anni Ottanta.

I media accolgono negli spazi pubblicitari messaggi non fraintendibili. Ogni raffreddore, ogni mal di schiena, ogni disturbo gastrico non sono altro che triste congiunture per guastarci l’appuntamento con il partner, una partita a tennis, l’aperitivo con gli amici. Ma basta mandar giù una pastichetta e la vita riacquisterà il suo senso.

Fino alla prossima ricaduta.

Il rigore della filosofia pratica

Già, perché le panacee, come tutte le bugie, hanno le gambe corte.

Forse, allora, gran parte delle scelte esistenziali si gioca sul filo di una distinzione. Quella tra cura e guarigione. Da cui dipenderanno e le modalità con cui decideremo di badare a noi stessi.

In una prospettiva di vita improntata alla guarigione, prendersi cura del sintomo significa prendersi cura dell’integrità della persona. La qualità “terapeutica”, in qualunque sfera d’azione e a maggior ragione nelle professioni che si occupano dell’umano, riverbera dell’onestà, dell’accortezza e dell’evoluzione spirituale di colui che si dedica all’altro. Con gli strumenti proprii del mestiere che esercita.

Per quanto attiene alla filosofica pratica, compete al consulente il rigore di confrontarsi con i sintomi come espressione di ciò che è effettivamente presente all’Io. Ovvero senza richiami all’inconscio o al rimosso. Allo scopo di facilitare la ricerca del cliente e accompagnarlo lungo un sentiero di chiarificazione che permetta di agire sui fenomeni. In direzione di un processo di miglioramento della qualità della vita, nel quale diventare mano a mano autonomo.

 

 

 

×