Qual è il costo di un ritmo di vita eterodiretto dalle catene di interdipendenza sociale? Il “pressante” ci avvolge, ma chiediamoci ancora: chi è il tempo?

di Federico Levy. Articolo pubblicato per la prima volta sul sito www.benessereitalia360.it il 17 Aprile 2018

Nonostante diversità di esperienze, caratteri o professioni, qualcosa accomuna oggi la maggioranza delle persone: una pratica stressante del tempo. Manager d’azienda, semplici impiegati, studenti, mamme lavoratrici e casalinghe. Ognuno ha la sua buona ragione per trottare ai ritmi di un’agenda strapiena, in un rosario di invocazioni e rivendicazioni del tempo, autentico Dio ineffabile e secolarizzato di quest’epoca.

Che “sfugga” o “stringa”, il tempo sembra uscito dai cardini dei cicli naturali e cosmologici per trasformarsi in materiale prezioso di ordine politico e sociale. Il tempo è oro. Come l’oro, è questione di possesso. Quando avevo/ho/avrò tempo…, diciamo. E, come l’oro, non basta mai.

Il tempo non è un luogo comune

Il nostro desiderio di tempo è in un tessuto di produzione e consumo. Cosicché, all’aumentare del tempo di cui sentiamo necessità fa da contraltare quello che inevitabilmente sentiamo di non possedere più: tempo libero, tempo per accudire i bambini, tempo per preparare gli esami, lavorare, passeggiare, leggere.

Per paradosso, poi, ogni istante della vita in realtà è un accorciamento del tempo che ci resta a disposizione!

Essere in corsa contro il tempo non è solamente un luogo comune verbale bensì il luogo dove, in comune, misuriamo l’idiosincrasia ontologica tra il volume dei desideri e lo scarto sempre insufficiente delle possibilità reali. È il luogo di una tragedia attuale che ci coinvolge nel gioco di specchi riflessi tra passato e futuro, desideri e bilanci, sorrisi e lamenti.

Pressante presente

Ma al tempo stesso (il gioco di parole è inevitabile) il campo delle aspettative rende il presente sempre più pressante. E se il termine presente rimanda intuitivamente alla presenza – con tutto ciò che implica l’idea di essere presenti a qualcosa – il pressante suggerisce l’idea di pressione.

Ci sarebbero buoni motivi per mettere in dubbio l’identità propria e lo statuto d’esistenza del tempo presente. D’altronde, “il passato non è più e il futuro non è ancora” quindi ciò che esiste attualmente, in ogni momento, è solo l’istante presente: punto in una retta e continuamente in divenire!

Inoltre, cosa significa effettivamente essere presenti?

Se penso all’idea del pressante e della pressione riesco a farmene un’idea più concreta. La formula dell’essere presenti a ciò che si è o che si fa può suonare misteriosa ma chi può negare di essersi talora “sentito sotto pressione”?

Il pressante pare insomma una nuova categoria temporale. Costruita a partire dalla frammentazione del presente in un agglomerato di impegni differenziati e tutti rigorosamente cronometrati. Il risultato è l’immagine scelta per la copertina di Storie del tempo: una silloge di scritti filosofici sul tempo in cui il curatore, Pietro Redondi, affronta il fenomeno della “cronodipendenza” caratteristico della nostra epoca. Lido Contemori, il disegnatore, ha raffigurato un uomo che timbra il cartellino della propria vita appesantito da orologi che segnano ciascuno un’ora diversa, appesi alla medesima giacca.

Nel gesto abituale e apparentemente innocente di posare lo sguardo su orologi e calendari si cela un’istanza continua di anticipazione e immaginazioni. Che invano catturano l’incertezza endemica di quel che verrà senza, con ciò, renderla più presente; anzi, facendo nostro un certo grado di rinuncia nei confronti di ciò che è reale.

Questa pratica è resa ancor più pervasiva dalle nuove tecnologie di comunicazione che, mentre rendono sempre più comodo l’accesso alle informazioni, erodono il tempo personale da quello delle attività produttive. Da un lato lavorare è diventato “comodo”, dall’altro è pressoché impossibile smettere di farlo, ritagliandosi ore di libertà dalle sollecitazioni esterne.

Pressanti disagi presenti

Certo, possiamo vivere come surfisti intraprendenti che risalgono l’onda dei doveri; ma qual è il costo di un ritmo di vita eterodiretto dalle catene di interdipendenza sociale?

Non stupisce che, nella misura in cui permettiamo che il pressante si mangi il presente, sopravvengano esperienze spiacevoli e disagi esistenziali o addirittura psicologici. Ansie, crisi di godimento nei confronti della vita, frustrazione verso ogni insuccesso, senso di inadeguatezza del proprio trotto paragonato a quello degli altri…

La ricerca, in molti casi, diventa allora quella spasmodica di nuove tecniche di time management con le quali riuscire almeno a conquistarsi l’idea che grazie al giusto mezzo potremmo fare nostra la lista degli obiettivi, peraltro sempre più lunga.

Tuttavia: esiste veramente un giusto mezzo nei confronti di un fine, se quest’ultimo è “fuori dai cardini”?

Scriveva Eraclito nel IV secolo A.C.

Il tempo è come un bimbo che gioca con le tessere di una scacchiera, di un bimbo è il regno. Frammento 48

Siamo al triste epilogo di una promettente speculazione metafisica. Ignoriamo se il tempo sia un Dio bambino o un Dio adulto, eppure abbiamo capito che siamo noi stessi le “tessere” dell’affannoso gioco della fretta.

Chi è il tempo?

S. Agostino, nella sua speculazione metafisica sull’essenza del tempo, esordiva così:

Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so.

A distanza di oltre 1600 anni filosofia e scienza continuano a interrogarsi sul senso del tempo. Eppure, oltre a quello fisico della relatività o a quello trascendentale dei filosofi, ancora non siamo veramente divenuti in grado di comprendere quel tempo di natura esistenziale che è il tempo della vita. Esso determina, secondo i canoni con i quali ci relazioniamo a esso, il campo delle nostre possibilità concrete e – prendo a prestito un’espressione di Martin Heidegger – le tonalità emotive con le quali il nostro essere al mondo assume buona parte del proprio senso e colore.

Nel tempo esistenziale c’è qualcosa che non possiamo computare con l’orologio. È la misura di una relazione. Una relazione tra cosa? O piuttosto tra chi? E chi è il soggetto di questa misurazione?

«Sarebbe sorprendente – continua Sant’Agostino – se non fosse un’estensione dello spirito stesso».

D’altronde, dove altro vivono, al momento, quel futuro che si anticipa e quel passato che si ricorda? E rispetto a questo presente che oggi abbiamo descritto nella modalità del pressante, cos’altro ci spetta se non trovarci a essere il campo mobile di una negoziazione permanente su ciò che noi scegliamo di essere nel quando scegliamo di esistere?

Presente. Passato. Futuro.

Chiediamoci sempre dove siamo. O in quale combinazione dei tre.

Il santo filosofo sentenziava: «Noi siamo il tempo». Heidegger, novant’anni fa, gli faceva l’occhiolino.

Ma noi, oggi, quale tempo viviamo? Quale tempo, infine, noi siamo?

Approfondimenti

S. Agostino, Confessioni, libro XI

P. Redondi, Storie del tempo, Laterza, 2007

Eraclito, Frammento 48 da Eraclito, i frammenti e le testimonianze, a cura di C. Diano e G. Serra, Mondadori, 1993

M. Heidegger, Essere e Tempo

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