Perché quello della Consulenza Filosofica è l’appoggio più solido per la costruzione del dialogo di coppia, familiare e amicale. Accessibile a tutti.

di Francesca Guercio articolo apparso per la prima volta sul sito www.benessereitalia360 il 10.12.2019

L’altro come ostacolo, ostinato nel rifiuto di prestare ascolto, talvolta palesemente nemico. Quando coppie e famiglie chiedono aiuto, la comunicazione è già organizzata alla stregua di un confronto tra avversari. Una tale grammatica del linguaggio, del resto, sembra permeare di sé molta parte delle relazioni interpersonali. Così non sono mai abbastanza, né abbastanza arricchenti, gli approfondimenti volti a chiarire possibili sensi e ulteriori significati dell’idea originaria di dialogo. L’apporto della Consulenza Filosofica è, per questo versante, particolarmente significativo. Perché poggia su molteplici e solide tradizioni di indagine degli atti comunicativi e vanta una ricca e diffusa letteratura in materia di virtù, coscienza, perseguimento del bene e della felicità. Con Wittgenstein e oltre Wittgenstein. Se non esiste un linguaggio privato in quanto ogni linguaggio è socialmente fondato, allora ognivocabolario privato comprende parole e vissuti. Prima di intraprenderne lo scandaglio sarà indispensabile sostare nella costruzione condivisa di un’etica della reciprocità.

Buone intenzioni e qualche strategia di comunicazione non bastano

Senza la consapevolezza e una certa pratica degli inciampi dissimulati nel riconoscimento del principio di simmetria, infatti, non si fa che nuotare in superficie.

Non sono rari gli sforzi volti a consolidare il dialogo, applicati da soli o con la guida d’un professionista, che naufragano dopo qualche iniziale successo. Producendo un senso di frustrazione che si trasforma in dolorosa sfiducia. Le buone intenzioni e qualche strategia di comunicazione non sono sufficienti a governare sistemi tanto complessi quali quelli della corrispondenza tra individui in stretta relazione. Ciò diventa in special modo evidente quando si tratti di rapporti amorosi. Origine e fine della comunicazione esistentiva; spazi in cui solo la nudità personale può davvero incontrare l’essere nudo dell’altro, trasformandosi in esistenziale.

Seguire il tracciato lungo il quale Gadamer sviluppa la sua considerazione dell’ermeneutica come modalità del soggetto e del suo “essere nel mondo” è illuminante.

Gadamer e Jaspers: discorso e interpretazione

L’essere può essere compreso solo in quanto “si dà” nel linguaggio. Ma ognidiscorso, affidato al linguaggio, non può esimersi dalla pre-comprensione. Così la dialogicità è pienamente compiuta solo laddove ciascun interlocutore si affidi a un’intima connessione. Assumendosi laresponsabilità di lasciarsi guidare dallo sviluppo della conversazione, di rendersi disponibile a continue rivisitazioni. La “cosa stessa”, con cui ogni comprensione ermeneutica inizia e finisce, non deve essere sottoposta a una oggettivazione idealizzante.

Folgorante, ancora, nella direzione di un atto comunicativo che fondi il discorso amoroso, l’ispirazione suggerita da Karl Jaspers. Che ricorda «io sono, solo se sono in comunicazione con l’altro». Cercando la comunicazione con l’altro, dunque, non si fa che cercare se stessi.

In quanto esistenziale, la comunicazione stabilita da una coppia dovrebbe poter andare oltre le convenzioni, metterci in gioco, riuscire a cambiarci.

Per essere sicuri del noi stessi che andiamo comunicando – ed eventualmente trasformarlo – è vitale chiarircelo.

L’inganno delle strategie per governare la complessità

Per questo, in seduta, non si studiano i pensieri dei filosofi ma, guidati dalla conoscenza del Consulente, si fa filosofia. Piuttosto che lasciarsi indirizzare da un esperto che indichi la giusta via o insegni artifici funzionali si penetrano le possibilità offerte dalla complessità del reale. E ci si sofferma ad abitarle insieme. I membri della coppia, o del nucleo familiare, con il consulente o con i due consulenti; a seconda del percorso preferito dai consultanti.

Spesso le persone che si rivolgono a un professionista con una richiesta d’aiuto rivendicano, più o meno consapevolmente, una pretesa paradossale. Che il disagio che li ha condotti in consulenza si risolva senza che l’assetto del proprio essere-nel-mondo si modifichi. Ciò non è, ovviamente, possibile. Per produrre cambiamenti bisogna toccare e lasciarsi toccare dall’atto comunicativo. L’impresa, però, unica condizione per l’epifania di un’esistenza autentica, è impegnativa e certamente non esente dal dolore.

Può l’uomo compiere quel che gli si richiede?

Così, se la filosofia che nelle sedute di Consulenza si vuole “pratica”, ambisce a dissodare i territori dell’esserci dell’uomo, è necessario seguire l’indicazione di Kant. Che nel Proemio della Filosofia Pratica Universale ricorda:

Senza dubbio, si può ben affrontare la filosofia pratica anche prescindendo dall’antropologia […]; in tal caso, però, essa è soltanto speculativa […]. Si predica di continuo ciò che deve accadere, e nessuno pensa anche se esso possa accadere […]. In conclusione, occorre una conoscenza dell’uomo, da cui risulti se egli può compiere quanto si richiede da lui.

Il sistema di comunicazione congruente che si instaura tra consulenti e i consultanti nel percorso della Filosofia Pratica è già esso stesso un atto di conoscenza. Un esercizio di contemplazione di quante più possibili espressioni e significati, oltre i quali domandare e domandarsi. Il libero sviluppo di un habitusche diviene sostanza dell’individuo e non tecnicismo relazionale.

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