«La Consulenza Filosofica va bene per me oppure è meglio che mi rivolga a uno psicoterapeuta?». Domanda che ci pongono spesso. Continuiamo a fare chiarezza

di Francesca Guercio e Federico Levy

Epitteto, nel II secolo dopo Cristo, paragonava senz’altro una buona scuola di filosofia a un ambulatorio dove si va per guarire. E gli antichi, da Seneca a Plutarco, non avevano dubbi nel definire la filosofia «medicina dell’anima». Ciò non andrà sottovalutato ogni volta che – da più parti ormai, e sempre più spesso – si fa appello alle proprietà terapeutiche della Filosofia. Tuttavia è sempre necessario e appropriato ripetere che alla Consulenza Filosofica è del tutto estraneo l’ambito clinico: essa non “cura”, ma “si prende cura”!

Le considerazioni espresse in questo intervento fanno seguito a quanto già esposto in Malanni di ragione. Ambiti e modalità della “cura” filosofica – PARTE I per rispondere a una domanda che ci sentiamo porre con una certa frequenza. Com’è giusto nei casi in cui si valuti l’opportunità di rivolgersi a una figura professionale in grado di sostenere in momenti di dolore, spaesamento, scoraggiamento.

Consulenza Filosofica e impulso al benessere

A quell’articolo richiamiamo senz’altro per una disamina dei campi d’intervento proprii della professione così come noi la intendiamo. Con le sue applicazioni sia nel lenimento del disagio personale e relazionale in fasi penose dell’esistenza, sia nelle domande di senso di ampio respiro. Originate dal bisogno di ricerca di sé e della propria saggezza o del rapporto con la giustizia, la bellezza, la spiritualità…

La Consulenza Filosofica lavora con i singoli e con i gruppi per sostenere il legittimo impulso umano al benessere. Promuovendo la libera e franca disamina di sé, dei fatti, e di sé in relazione a essi. Accrescendo la conoscenza e sollecitando l’autonomia individuale nell’intraprendere processi di indagine tali da sfociare in cambiamenti significativi, nell’acquisizione di nuovi equilibri nonché nel generale miglioramento della qualità della vita.

Un dialogo caratterizzato da rispetto, sincerità, riservatezza, libertà, creatività e razionalità è lo strumento privilegiato del setting di lavoro.

Il dialogo: dalla cultura socratica alla contemporaneità

È il dialogo filosofico. Che trae ispirazione dalla tradizione socratica, attualizzata alla luce di dinamiche storiche e di forme di sapere contemporanee. (In particolare: analisi fenomenologica, antropologia neo-esistenziale, ermeneutica, dialettica, maieutica filosofica e analisi logico-argomentativa). Capace di illuminare il senso ultimo e autentico di una questione e farne emergere il substrato esistenziale ed etico, le sue caratteristiche ontologiche e le implicazioni logiche.

Abbiamo già detto nella prima parte del nostro intervento che alla Filosofia Pratica così come l’intendiamo è estraneo ogni riferimento a processi psichici inconsci. Questo è il primo vero discrimine perché ciascuno possa trovare una risposta personale alla domanda sull’appropriatezza di un approccio legato alla Consulenza nel cammino verso il benessere e la consapevolezza di sé.

Sarà utile aggiungere qui l’invito a cogliere una distinzione – troppo spesso ignorata per superficialità o reale misconoscenza – tra le cause di sofferenza personale.

Talora indotte dalla configurazione delle società.

Sofferenza personale e “patologie sociali”

Disorientamento, frustrazione, tristezza, incapacità di scelta, crisi, malessere, rabbia non dipendono necessariamente da disfunzioni o disordini psichici. Di fronte alle “patologie sociali” che generano nel singolo disperazione e perdita di senso la Consulenza Filosofica è una replica congrua per sottrarsi alle liste dei “sani” e dei “malati” sulla lavagna dell’esistenza.

La vasta letteratura scientifica sull’argomento trova una sintesi divulgativa nelle opere dello psicanalista e filosofo Miguel Benasayag. Autore di testi emblematici quali L’epoca delle passioni tristi(insieme a Gérard Schmit –psicanalista e terapeuta della famiglia) e La salute ad ogni costo. Medicina e biopotere.

La complessità, gli affanni e le storture della contemporaneità causano forme di sofferenza che inibiscono il godimento della salute esistenziale. E che possono superficialmente essere confuse con i sintomi di psicopatie personali.

L’endemica, e da più parti esecrata, medicalizzazione della vita quotidiana ha condotto all’anomalia per cui molte condizioni umane, nel passato assunte come normali, vengono ormai considerate patologiche.

Non psicologizziamo l’esistenza

Spesso peraltro sono gli individui stessi a “psicologizzarsi”. A porsi, cioè, con sempre maggior senso di impotenza nella passiva dimensione del malato da curare con procedimenti standard e tecnici. Senza adoperarsi invece in direzione di un più attivo e costruttivo senso di interrogazione critica generale che, partendo da sé e dalla propria sofferenza, può fungere da base fondamentale di crescita ed evoluzione personale.

Nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, riferimento per medici, psichiatri e psicologi nel mondo, il numero delle condizioni segnalate come disturbi mentali è aumentato di tre volte tra la prima edizione del 1952 e l’ultima del 2013.

In particolare – secondo quanto individuato dagli stessi Benasayag e Schmit – tale confusione insorge nel trattamento degli adolescenti. Quando il confine tra mondo familiare e vita sociale è ancora poco definito è plausibile incorrere in diagnosi sbrigative. Le fertili ricchezza e complessità del disagio manifestato vengono così trascurate e i ragazzi sono imprigionati in un’etichetta. Nelle crisi di questa fase dell’esistenza, pertanto, l’affiancamento del Consulente Filosofico si rivela particolarmente opportuno.

Nessuno è il suo dolore

Naturalmente, il principio per cui nessun individuo (e nessun sistema di individui) è riducibile all’unicum della sua “sofferenza” (malattia o alterazione delle relazioni) è consustanziale all’attività filosofica. In essa, semmai, la sofferenza diviene una dimensione da interrogare. Forti non solo del principio socratico fondamentale che “ogni vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”, ma (anche) dell’idea che domandare è già un modo per ricominciare a sperare e conquistare quella splendida e utilissima capacità (non sempre innata) di trasformare il dolore esistenziale in bellezza.

Da esso prende le mosse qualunque tipologia di intervento, a prescindere dall’età delle persone coinvolte.

Il Consulente Filosofico si fa carico della domanda di aiuto del Cliente senza intenti direttiviemeccanismi strategici. In qualche modo ciò è stato detto già nella prima parte di Malesseri di ragione ma non sarà inutile precisarlo. La risoluzione diretta del problema secondo un modello di expertise tecnico-specialistico è incompatibile con l’indagine filosofica.

Né terapeuti, né pazienti

Questo, certo, innanzitutto, distanzia in modo netto la nostra professionalità da quella dei moderni allenatori di potenziale umano che mirano a incrementare le performance dei clienti attraverso azioni di coaching. Ma il dialogo filosofico, scevro da metodologie diagnostiche e orientamenti teorici di scuola, impedisce anche qualunque legame di tipo terapeuta-paziente.

È perciò evidente che la Consulenza Filosofica, se agita isolatamente da altri trattamenti, si rivela appropriata solo in assenza di patologie cliniche acclarate. Ci riferiamo, a norma di esempi, a disordini psichici quali disturbi di personalità; depressione maggiore; schizofrenia; attacchi di panico; dipendenze da alcool, sostanze psicotrope, gioco. Così come ad allucinazioni; manie suicide; disfunzioni sessuali; impulsi distruttivi; disordini neurocognitivi; etc.

Filosofo e psicoterapeuta possono altresì lavorare in squadra; e il nostro studio ha collaborato e collabora con professionisti della psiche.

Filosofo e psicoterapeuta: utilità del lavoro di squadra

Mentre, per esempio, il terapeuta lavora in tempi lunghi sull’emersione e la cura delle problematiche profonde, il consulente filosofico può fornire supporto di chiarificazione e ordinamento tali da consentire al Cliente di affrontare urgenze familiari, relazionali o lavorative. Oppure può stimolarlo e sostenerlo nell’arricchire la propria mappa di significati e scopi, la cui disgregazione è spesso alla base di sentimenti depressivi e nichilistici. Giusto per dare un assaggio della dimensione “noetica” della sofferenza psichica.

La Consulenza Filosofica non è un’alternativa alle psicoterapie né una psicoterapia alternativa. Il gioco di parole è di Gerd Achenbach. Ed esprime bene il modo in cui la intendono e praticano i curatori di questi due interventi di risposta alla domanda sulla preferibilità dell’una o dell’altra nel percorso verso la salute esistenziale. In nessun caso la Filosofia può sostituire il lavoro psicoterapeutico! Le dimensioni e le modalità d’azione sono, semplicemente, diverse. E diversi i linguaggi.

Filosofia: una rivoluzione interiore e sociale

Il Consulente è tenuto a segnalare al Cliente l’opportunità di rivolgersi a specialisti ogni qual volta, in scienza e coscienza etico-professionale, ne ravvisi le condizioni.

Tuttavia è giunta l’ora di liberarsi del pregiudizio che si fa forte dell’idea che chiunque soffra è malato e che, specularmente, chiunque non sia malato non possa beneficiare di un sostegno! E magari liberarsi anche di quell’egemonia psicologizzante che si manifesta ogni qual volta ci si relaziona con la propria interiorità. Sarebbe di grande beneficio sia sociale sia individuale riconoscere la dimensione prettamente filosofica dell’esperienza di vita e riconoscerle lo statuto di importanza che merita.

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