Prendersi cura del dialogo nelle relazioni affettive è il modo migliore per garantire l’ecologia di quel particolare progetto di mondo che è la coppia.
di Francesca Guercio. Articolo apparso per la prima volta sul sito www.benessereitalia360.it il 3 Luglio 2018
Immaginate la scena. Un’attempata e solida coppia di coniugi è nel momento più drammatico dell’esistenza. Lui, vecchissimo, è al capezzale di lei, vecchissima, e giura d’amarla come il primo giorno. Tra le lacrime ricordano momenti belli e reciproci attestati di premura. Lui, come se fosse l’atto sacrificale più sublime, confessa di averle concesso per settant’anni di mangiare il petto del pollo, di cui era ghiotto, immolandosi al consumo delle cosce. Lei solleva il capo, sgrana gli occhi poi s’abbandona al cuscino. Con un filo di voce dice: «Ho sempre detestato il petto di pollo! Ti lasciavo mangiare le cosce perché secondo me erano la parte più buona».
È una storiellina famosa, davvero utile per portare l’attenzione sull’indispensabilità di un dialogo aperto all’interno di qualunque relazione. E, a maggior ragione, tra individui che condividono percorsi di vita.
Non solo problemi, non solo opportunità
Fare sacrifici —perfino nel senso originario e nobile della locuzione —può essere del tutto inutile se non abbiamo chiaro l’orizzonte di senso dell’interlocutore. Attribuire all’amato le nostre predilezioni e la nostra scala di valori è un errore che neppure il più sincero slancio sentimentale riesce a emendare. Né l’amore può conferirci il dono di leggere nella mente dell’altro!
Anche nella più intensa e complice delle relazioni di coppia, sostenuta magari da mesmeriche coincidenze di pensiero, la singolarità rimane caratteristica inesorabile. Certo, come insegna Jean-Luc Nancy nell’Esperienza della libertà (1988), “essere” non può significare che “essere-in comune”, e in questo senso la singolarità è ciò che condividiamo e nello stesso tempo ciò che ci separa. Avere chiaro questo semplice postulato è già un primo passo per trasformare un problema in opportunità, come va tanto di moda dire in certi ambienti. Ma per fortuna si può andare oltre, verso un’illuminata consapevolezza.
L’altro come “luogo”
La coppia è una costellazione. Intellettuale, emotiva, corporea… Ciò che rappresenta, insieme, la sua forza e la sua debolezza.
Se è vero che l’identità è sempre data grazie alla molteplicità e che il rinvio a sé è possibile solo nell’“essere-due”, trovare un modo di fare coppia senza operare transfert né annullarsi significa, davvero, costituirsi come soggetti. In calibrata autonomia.
L’altro è un luogo privilegiato nel quale cercarsi e misurarsi. Vero e proprio altrove geografico che ci pertiene. Nell’ambito del quale — è capitato a tutti — scopriamo ricchezze e povertà delle nostre “dotazioni” intellettive e psichiche. Sorprendendoci, a tratti, di qualità e difetti che non sapevamo di avere.
Quel luogo altro diviene una dimensione da interrogare per interrogarci. È inevitabile, perciò, scivolare nell’interpretazione, come atto cognitivo. E, a patto di non voler fissarci in rappresentazioni valide una volta per tutte, proprio ciò può costituire un aspetto della ricerca di verità.
Dal segno al di-segno
Nello spazio tra il “segno” che ciascun partner è e il “disegno” della coppia avviene la riscrittura di sé. Che permette di vivere in modo creativo la promessa generata dall’incontro. Quel costituirsi cui accennavo prima diventa un co-costituirsi; senza che nulla dell’autonomia vada smarrito, proprio per rafforzare il nuovo organismo. Scriveva Merleau-Ponty nella Fenomenologia della percezione che è impossibile evitare di comprendere le azioni degli altri mediante le proprie. E chiedeva:
come la parola Io può essere messa al plurale, […] come la coscienza che, per principio e in quanto autocoscienza, è nel mondo dell’Io, può essere colta nel mondo del Tu e quindi nel mondo del «Si»?
Affinché si enunci il plurale delle singolarità, alla coppia che “si” fa è necessaria l’eterogeneità dei soggetti. Questo significa “essere in rapporto”! Nell’Io che diventa Si, l’identità raccoglie una sfida: il progetto esistenziale ha due coscienze, ognuna con la propria visione del mondo.
Presente + Futuro = Passato
Due “visioni”, dunque, sono chiamate ad armonizzarsi, arricchirsi, trasformarsi dando vita a un progetto di mondo condiviso.
Giacché la coppia, davvero, è un progetto di mondo.
E se, in un presente in comune, auspichiamo un avvenire di condivisione è necessario che il passato di ciascuno diventi storia condivisa.
È sulla linea sottile del dialogo, sull’approfondimento dei significati del linguaggio che si dà sostanza e vitalità a questa chance. Sullo scambio continuo e sulle chiarificazioni, sull’accorta astensione da traduzioni arbitrarie.
«Ti comporti in modo assurdo!». Quante volte ci siamo sentiti dire una frase simile? Dentro di noi sapevamo di subire un giudizio ingiusto: ogni azione umana deve basarsi su un qualche, sia pure distorto, presupposto di senso.Il nostro modo di fare poteva essere spiacevole, poco chiaro, perfino esecrabile ma non certo contrario alla logica. Nostra, naturalmente!
Eppure questo non ci ha impedito di rivolgerci al partner negli stessi termini, in altra situazione.
«Ti comporti in modo assurdo!»: un’occasione filosofica
Quando l’altro ci fa arrabbiare o ci delude è più semplice desumerne che stia farneticando piuttosto che indagare le sue ragioni. Ma ogni volta che “non ci si capisce” — sia che si scelga di lasciar correre, sia che ci si avventi in un litigio — ci troviamo in realtà in un’occasione strettamente filosofica.
L’occasione in cui un soggetto (una vita individuale) si mette a riflettere su se stesso considerandosi come oggetto ed entrando in dialettica con l’altro. Che si mette in gioco nella medesima iniziativa.
Sarebbe davvero utile, in questi casi, fare prevenzione. Cominciare da subito, all’inizio di ogni relazione, duri quanto duri, a interrogarsi; in modo che ogni esperienza si trasformi in una filosofia cosciente. Evitando così che l’altro divenga uno straniero, un’incognita, un nemico.
Accade più spesso, tuttavia, che si possa procedere a delucidare le esperienze in modo da chiarire quanto esse costituiscano la nostra filosofia di vita.
La pratica della Consulenza Filosofica nella coppia
Quando una coppia decide di rivolgersi a un professionista per una consulenza c’è già qualcosa che barcolla e che va rimesso in equilibrio.
La consulenza filosofica ha come unica verità la ricerca della verità; con i suoi venticinque secoli di storia. A quanti vogliano affrontare un cammino di chiarificazione esistenziale per migliorare la qualità della vita di relazione, essa offre una pluralità di forme. Che potrà essere ricontrattata di volta in volta, grazie alla versatilità delle procedure e all’assoluto antidogmatismo dell’impianto. In accordo con l’insorgere di nuove domande e la messa in discussione di qualunque risposta sembri definitiva.
Questo, almeno, è il modo con il quale mi relaziono alle consulenze di coppia insieme al collega Federico Levy. Con cui divido ben più della conduzione di questa rubrica, in incessanti indagini professionali e personali volte ad allargare e ad approfondire le essenze del prezioso strumento maieutico che costituisce il nostro lavoro.
L’amore si nutre del non farla finita
Si può scegliere di affrontare il percorso con il partner, da soli o in gruppo. Con amici e/o sconosciuti. Dialogare con un solo consulente o con entrambi, sia contemporaneamente sia in alternanza.
Per sperimentare che ogni parola è “un autentico gesto” e contiene un significato concettuale e un significato esistenziale. Per dirla con Merleau-Ponty.
Ancora una volta — non ci stancheremo di ripeterlo — non si trattadi strategie e trucchetti di comunicazione efficace. Essere “in rapporto” richiede condivisione, cooperazione, cura, dispute e tanto altro che non può e non deve esaurirsi in soluzioni non negoziabili. Perché l’amore è proprio come la filosofia.
E sappiamo anche che non c’è “soddisfazione” […] per chi desidera non tanto appagarsi quanto desiderare ancora e sempre, di nuovo. […] l’amore […] non vuole mai farla finita perché è del non finire che si nutre, del non limitarsi a ciò che io posso essere, possedere e fare [Jean-Luc Nancy, Del sesso]